martedì 6 novembre 2007

Il Libro Tibetano dei Morti e l'Intervista a Battiato..




Sto leggendo il Libro Tibetano dei Morti... Sto andando molto a rilento e a volte mi prende un ansia indicibile e allora devo smettere subito, chiudere le pagine che stavo divorando e cercare qualcosa di leggero e del tutto frivolo... Ma nonostante tutto non riesco la volta successiva che lo prendo in mano a pensare di smettere e non arrivare alla fine... So che di quello che leggo colgo una minima parte ma sento che qualcosa mi rimane e allora proseguo. E' un libro molto particolare, non saprei descriverlo bene .. Stamattina poi, leggo una vecchia intervista di Battiato (il mio mito!) che parla proprio del Libro Tibetano dei Morti...


Lascio che quello che non so dire io su questo fantastico libro lo dica il Maestro...




«Il libro tibetano dei morti. Lo lessi all'inizio degli anni Settanta. La prima volta fu un'esperienza traumatica, perché stavo attraversando un periodo molto delicato. Non riuscii ad arrivare in fondo, non potevo neanche tenerlo sul comodino. La seconda volta lo lessi con maggiore padronanza. La terza mi ha fulminato». In che senso? «Diciamo che l'ho fatto mio. Questo libro è perfetto, ognuno lo assimila al proprio metabolismo, alla propria essenza culturale. Perché le distanze sono notevoli, a volte si incontrano delle descrizioni simboliche che sono reali, o viceversa. Io ho fatto un percorso molto preciso di ricerca, e quindi ho ritrovato delle affinità che non avrei nemmeno sospettato».
Che cosa succede quando si muore? Dove si va? Che cos'è e com'è l'Aldilà? Sono queste le domande alle quali il libro tibetano (titolo originale «Bar-do-thos-grol») cerca di rispondere. Una specie di corso accelerato per moribondi e defunti che svela la chiave segreta dell'immortalità. Che insegna a riconoscere la Luce di Verità, la luce che abbaglia, e ad abbandonarsi a essa, evitando di cedere alle altre luci, piacevoli ma ingannatrici, che non abbagliano e sono pregne dei nostri errori: collera, egoismo, odio, avarizia, lussuria...
«Tutto questo succede nei quarantanove giorni successivi alla morte fisica.
- continua Battiato - Quelli della cosiddetta "esistenza intermedia". Il libro è abbastanza crudo, non addolcisce nessun dettaglio. Ma al fondo c'è la convinzione del buddismo tibetano che tutto è "maja", cioè illusione. E questa consapevolezza aiuta a sopportare anche le cose più orrende».
Il corpo come «vanitas», come involucro transitorio e corruttibile dell' anima,
è anche un concetto cristiano... «Per i buddisti, ciò che resta di noi non è l'anima ma il pensiero. Però è un peccato buttare via il corpo, perché è quello che dà la possibilità di raggiungere la salvazione. E' un tempio, e come tale va rispettato. Il pensiero "poggia sul respiro". Quando si muore cessa il respiro, il prana vitale. Il pensiero resta solo, e comincia a errare. Fa qualche tentativo di rientrare nel corpo, e capisce che non è possibile. Allora comincia la sua vita intermedia, in cerca di nuovi supporti. Il libro descrive un itinerario, dove a seconda del tuo desiderio, di quello che hai lasciato in sospeso, dei piccoli o grandi peccati che hai fatto, vieni attirato da una luce piuttosto che da un'altra. Soltanto a pochi eletti, a coloro che hanno raggiunto la perfetta coscienza, è consentito superare il ciclo della morte e della rinascita. Gli altri sono costretti a rinascere come uomini o come animali». Lei ci crede davvero nella reincarnazione? «Assolutamente sì. E non su base fideistica. Ci sono arrivato per sperimentazione». E in che cosa le piacerebbe reincarnarsi? «E' più facile dire che cosa non vorrei. Non mi piacerebbe ritornare in regni animali. Preferirei rinascere albero. Oppure un uomo evoluto o qualcosa di più. Sempre che ci riesca...». Rieccoci con il premio e il castigo, l'inferno e il paradiso. «Sì, ma come ho detto tutto è illusione, anche i mostri si manifestano perché tu sei così. Proietti le tue paure. I ritorni sono i desideri che abbiamo lasciato, e solo quando abbiamo esaurito questi desideri possiamo ricongiungerci al pensiero puro, che è l'origine di tutte le cose». Il libro dei morti ha ispirato qualcuna delle sue canzoni? «Direttamente no. Beh, forse "L'ombra della luce" rappresenta in qualche modo questo desiderio di illuminazione». Come no, ricordate? «Riportami nelle zone più alte, in uno dei tuoi regni di quiete: è tempo di lasciare questo ciclo di vite...». Sul divano, dalla pila dei libri per l'estate, spunta un altro testo di saggezza buddista tibetana: Namkhai Norbu, «Dzog-chen. Lo stato di autoperfezione». Che raccomanda tra l'altro: «Apri il tuo occhio interno e osservati. Non cercare una lampada che ti illumini dall'esterno. ..». Ancora il Tibet: c'è mai stato, Battiato? «Mai. Anche se conto di andarci in futuro. Io sono sempre stato più legato al Medio Oriente, al mondo arabo. I sufi, i mistici islamici. E autori
come Gurdjeff, ai confini tra Oriente e Occidente». Chi era questo Gurdjeff? «Un personaggio straordinario. Armeno, russo, greco. Gli piaceva mischiare le culture. Ha portato il sufismo, l'esoterismo dentro i bar europei. "Frammenti di un insegnamento sconosciuto" l'ho letto per la prima volta nel '75. E' stato uno dei motivi per cui ho fondato la mia casa editrice, l'Ottava. La sua era una filosofia alla Pitagora o alla Archimede. Una disciplina con regole di ferro, ed esercizi per aumentare la capacità di comprensione». Non trova che certi mistici, più che chiarire concetti o trasmettere conoscenze, si limitino a comunicare delle nozioni? Che in realtà facciano poesia più che filosofia? «Non sono d'accordo. Prenda Abdal Qadir, "Il segreto dei segreti": quando l'ho visto in una libreria, in Inghilterra, i miei pensieri erano determinati da una sinistra ombra del vivere. L'ho aperto, e ci ho trovato quello di cui avevo bisogno. La bontà d'animo dei sufi, la loro purezza era così vera da sciogliere anche i ghiacci. Possiamo accusarli di fanatismo ma non di millanteria. Così, quando uno legge i padri del deserto, anche se è ateo deve rimanere affascinato dalle vette di queste intelligenze che lanciavano massi come i Rolling Stones». Permetta una domanda scontata, Battiato : l'ha trovato il suo centro di gravità permanente? «Per fortuna no. Penso che sia impossibile. In compenso ho trovato qualcosa di importante. Non mi è più capitato di cambiare idea su una persona. Di fare una inversione a U».
E la politica? «Non mi ha mai interessato. La politica è come le correnti marine. Lasci l'ombrellone, ti butti, e in un attimo ti ritrovi al largo. No, la mia vera conquista è riuscire a stare fuori dai conflitti, a vivere nella serenità». Già. Come diceva quella canzone? «Emanciparmi dall'incubo delle passioni / Cercare l'Uno al di sopra del Bene e del Male / essere un'immagine divina / di questa realtà». Ancora un piccolo sforzo, lo «Dzogchen» è vicino.

(Intervista raccolta da Riccardo Chiaberge – 2001 – Corriere della Sera)


IL CAPPELLAIO MATTO

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