mercoledì 17 ottobre 2007

VOGLIO RACCONTARVI UNA STORIA

Con queste parole Vasco ad un certo punto ha interrotto il flusso della musica per un attimo. Poi: Re, Re7+, Re7. Sol… e via, la magia è ricominciata. Ognuno ha cantato la propria Sally. Ognuno l’ha cantata per sé e per gli altri. In quello stadio così pieno da sembrare una sola persona gigantesca, hanno preso il volo tutte le Sally che ognuno di noi ha portato con sé. Sally perse, stanche, ironiche, malinconiche, sfinite, ritrovate, sole… e la storia che Vasco ha raccontato era tutte le storie insieme. Sembrava di vederla ovunque Sally. Era sufficiente girarsi indietro, osservare migliaia di mani alzate al cielo, di accendini, con le loro luci fioche, ma eterne, ascoltare la voce che proveniva da tutte le voci, e la si poteva vedere Sally, seduta sugli spalti o in mezzo al prato, a celebrare con un sorriso leggero e la testa un po’ bassa, ma assolutamente fiera, la gioia di aver vinto la scommessa: ci sono; sono arrivata fin qua… sono salva! Già, si è salvata Sally. Vasco è riuscito a salvarla. A salvarle tutte. Ecco perché può raccontare una storia, ecco perché con lui possiamo raccontare le nostre storie: perché non sono storie perse, perché ognuno di noi ritrova un attimo di verità, di lucidità, di commozione sincera, quella che, dice Renato Zero, sta “all’origine delle lacrime”. La musica è strana, non si tocca, non è “utile” come lo sono le automobili, le brioches o i telefonini. La musica sembra un’eterna promessa, ma… di cosa??? Come può diventare una storia? Lo diventa quando chi fa le promesse le mantiene anche, quando un’anima in difficoltà riesce a ritrovare un sorriso ascoltando “le voci che il vento le porta” e non finisce per essere spinta “giù, in fondo”, soltanto per curarci l’amaro in bocca, a noi che restiamo. Vasco ha mantenuto una promessa bella grossa, fatta tanti anni fa, alla quale molti si sono aggrappati per poter trovare le parole e l’energia necessarie a protestare, ad osservare, a interpretare e sistemare, incazzarsi e, anche, accettare, perché no?Eccola qua la storia: una storia fatta di concretezza, di fatica, di tenacia e testardaggine, una storia vissuta a non mollare mai, ma anche una storia di ironia, di autoironia, di serietà, orgoglio ed umiltà. Certo, non ora; ora le cose sono più “semplici”. Vasco può fare quasi quello che vuole, il rock, qui in Italia, è roba sua, non c’è dubbio. Ma sappiamo bene che non è iniziata così, che le cose sono andate un po’ diversamente. Eppure, nonostante tutto lo scetticismo (scetticismo a dir poco, si capisce, ma noi siamo buoni, non ci attacchiamo mica alle polemiche), quella grande anima è sopravissuta, è arrivata in alto, è cresciuta ed è diventata coscienza popolare, piaccia o non piaccia. E’ diventata quella Sally che non ha più paura, la Sally che delle sue paure, ora, può sorridere.Credo che “adesso vi racconto una storia” sarebbe in realtà il titolo adatto per ogni concerto e, in particolare, sarebbe stato il giusto cappello introduttivo proprio qui a Torino. Una città strana, quasi come la musica, la cui anima rimane impalpabile, nascosta e bisogna avere la pazienza di andarla a cercare, aspettare che si fidi prima di rivelarsi completamente. Molti sostengono che Torino sia fredda, grigia, che sia niente più che una grande fabbrica, ma non è così. E in questi anni lo ha dimostrato ampiamente. Torino fa parte di quelle città che hanno saputo amare Vasco Rossi molto presto, è una di quelle città dove non manca mai la “CONOSCIUTA COMPAGNIA” per lui. Lo aspetta, lo abbraccia e gli restituisce calore umano ogni volta che lui arriva con quelle meravigliose storie. E il Delle Alpi è una bella storia da raccontare. Una storia tutta di Vasco, tutta nostra. Certo, venne costruito per i mondiali di calcio del 1990, è stato la “casa” della Juventus (e qui nessuno si senta offeso, ma io lo devo proprio dire: bentornati in serie A ragazzi!), ma soprattutto è stato lo stadio di Vasco, a Torino. Mi ero ripromesso di scrivere qualche riga per raccontare il concerto, le emozioni che si provano, ma poi, quando è stato il momento di prendere la penna, non è venuto nulla “di getto”, tutto d’un fiato (il solo modo in cui io riesca a scrivere). Due righe, cancella, altre due, cambia… No! Non si può scrivere così quando si scrive con il cuore!!! Allora mi sono chiesto perché e ho capito che in realtà non posso dire nulla di “interessante” parlando delle mie emozioni, dei miei “perché” a riguardo del concerto. Non posso perché se lo facessi finirei per scrivere soltanto cose che tutti pensano e sentono senza bisogno che io le racconti. Le parole che posso usare per dire ciò che ho provato sono esattamente le stesse che vengono in mente a tutte le persone che erano con me al concerto. Insomma, sarebbe del tutto inutile scriverlo e noiosissimo leggerlo. Allora ho provato a cercare l’emozione “nuova”. E l’ho trovata. Adesso vi racconto una storia! Prometto che sarà una storia breve… davvero! Mi sono reso conto guardandomi intorno, allo stadio, un attimo prima che Sally comparisse, che sabato 22 (come tutte le altre volte) erano presenti migliaia di ragazzi e ragazzini giovanissimi, oltre ai “nonni” come me. Ho pensato: “accidenti! Questi ragazzi sentono tutto, ma non sanno probabilmente nulla di questa storia”. Allora ho pensato di raccontarla brevemente per loro, che sono così tanti e tanto importanti. Correva l’anno 1991, i mondiali erano finiti (non troppo onorevolmente per noi) da quasi un anno, mentre invece il tour Fronte del palco, iniziato nell’89, era ancora in giro per l’Italia. Fu il primo tour di “grandi concerti” di Vasco, che prima di allora accoglievamo di solito nei palazzetti dello sport o in aree relativamente piccole. Nel luglio del ’91 Vasco tenne a battesimo il Delle Alpi. Eh si, proprio Vasco. Il primo grande concerto (grande per davvero) di questo futuristico stadio, delle sue linee d’acciaio e modernità lanciate verso il cielo, di questa stessa città, fu proprio quello di Vasco. Molti di voi nelle due date di quest’anno saranno tornati a casa pieni di entusiasmo, raccontando l’impressione che fa lo stadio pieno, tutto ciò che precede l’evento, la gente che arriva, le magliette, i colori, i panini, la festa, l’attesa, la polizia, l’odore di fritto… la sensazione che stia per iniziare, i suoni di prova che si sentono all’esterno, i primi colpi di batteria, al calar del sole, che arrivano dritti nella pancia e sembrano non andare più via… fanno quasi paura! Poi quel momento magico, quasi una catarsi, in cui ognuno di noi si “perde” nell’essere più enorme che esiste: la folla! La sensazione di non essere più sé stessi, di non essere più “uno in mezzo a tanti”, ma uno solo… enorme! La sensazione inspiegabile di essere un suono in mezzo ai suoni del rock, di essere rock! Una palla infuocata lanciata a velocità incalcolabile, l’anima che vibra come se fosse un muro sotto un bombardamento!!! Tutto si scuote, dentro e intorno. Lo stadio che trema, Vasco che compare e non sembra vero che sia proprio lui, quello sulle copertine dei dischi, quello visto in TV! La pressione di migliaia di persone dietro di sé, la sensazione di essere sollevati da terra… il panico e il brivido, il rock che ti travolge con una potenza inaudita, l’impossibilità di sentire qualsiasi altra cosa, parola, addirittura pensiero, che non sia quello che arriva dal palco… La voce che è la tua voce… la riconosci come se stessi cantando proprio tu dietro a quel microfono! E poi quel mito che corre sul palco, che ti viene incontro… satiro moderno, un animale incontrollabile che sa esattamente ciò che provi e ciò che vuoi provare… ma come fa? Che ha messo proprio quella canzone dove l’avresti messa tu! Ma come fa? Come fa a conoscermi così? L’uomo che trasfigura, che non è più uomo, ma mito, indovino, mago, sacerdote di un rito di emozioni, colpi, suoni, parole… Tu che non sei più tu, ma sei lui… ma… è incredibile! E quando ci si scarica, ci si rilassa, quando Vasco si calma e si appende per un po’ al microfono, il respiro si fa più lento, più tranquillo, il suo sguardo vaga intorno, incredulo anche lui di ciò che succede, proprio come te, come me… E’ andata così vero ragazzi? Lo so, lascia perplessi, sorpresi, quasi increduli vero? Molti di voi saranno tornati a casa senza voce, usando quel po’ che gli era rimasta per raccontare che avevano visto Vasco talmente vicino che “sembrava quasi di toccarlo, mi ha pure guardato…!”. A molti di voi, ne sono sicuro, sarà sembrato di essere i “primi” a cui sia capitato di vivere quest’esperienza. Ma già 16 anni fa, alla prima data in questo enorme luogo della festa, non si sarebbe potuto lasciar cadere uno spillo! Era stracolmo ragazzi! Pieno in modo enorme, esattamente come lo avete visto l’altra sera. Eravamo così tanti che esprimerlo con un numero sarebbe superfluo e poco significativo. Il numero giusto per dire quanti eravamo è “SOLO NOI… SIAMO SOLO NOI”. Era una promessa: diceva “non vi mollo”. Scommettiamo che riusciamo a restarci, in piedi, su questo palco? Scommettiamo che dureremo più noi di questo stadio? Vasco lo disse al suo pubblico, il pubblico lo disse a lui. E l’abbiamo mantenuta questa promessa. Lui e noi. Così la musica è diventata una storia da raccontare. Così le storie che Vasco racconta ci convincono, sono vere, ci rappresentano. Per questo gli crediamo. Perché non ci siamo mai sentiti delusi, ingannati, non si è mai messo “sopra”, con sufficienza, come fanno molto altri personaggi pubblici, divi, star… Non si è mai rivelato diverso dalle sue parole… dalle nostre parole. La cosa più incredibile è che questa storia di 16 anni fa è la stessa storia di ieri. La stessa storia ogni volta. Qui sta la magia: è una storia che non finisce mai. I concerti di Vasco non finiscono, vengono soltanto “temporaneamente sospesi”, fino alla prossima data, fino alla prossima storia, fino alla prossima volta che racconteremo la stessa storia, sempre così riconoscibile e così nuova al tempo stesso. A volte su quel palco passano musicisti diversi, in quel prato e su quegli spalti cambiano i volti, le voci, i capelli, cambiano le mode, ma non importa: siamo tutti protagonisti della stessa lunga, infinita storia di musica, emozioni, rabbia, nostalgia… Siamo sempre, tutti, comunque Vasco.Per me è stato molto importante questo concerto. Un concerto storico. Avendo partecipato al primo concerto di Vasco al Delle Alpi non potevo mancare per niente al mondo all’ultimo. E si, perché il nostro stadio tra poco non ci sarà più. Verrà ricostruito, più piccolo, più… urbano e contenuto. Eh… chissà quante date ci vorranno in questa città a 25.000 – 30.000 posti per volta… caro Vasco, mi sa che dovrai rimanere a Torino almeno una settimana per ogni tour!!! Era un concerto “sacro” questo qui. Il concerto che chiude il Delle Alpi. Ma non c’è alcuna nostalgia né tristezza, nel modo più assoluto.Nessuna nostalgia perché in realtà fu proprio questa la promessa ragazzi: dureremo più noi dello stadio… e, guarda un po’ che caso strano… succede davvero! L’abbiamo mantenuta, eccome. Grazie a tutti voi, a tutti i ragazzi nuovi, più giovani, che nonostante non fossero presenti allora fanno parte di questa storia con la stessa intensità, con la stessa importanza di tutti coloro che c’erano già, come di quelli che non erano presenti.Non ci sono nostalgie perché le nostalgie nascono quando tutto ciò che resta è un ricordo. A noi, invece, quel che resta è una storia da raccontare. E poi da raccontare. E da raccontare… infinite volte. E le storie, quando sono belle, quando sono vere, a forza di raccontarle, vedrete ragazzi, diventano realtà. Proprio come una “favola antica” che per raccontarsi “…diventò vera! Diventò… VITA!” (spericolata, ovvio!). Succede questo ogni volta che Vasco racconta una storia: la racconta con noi, la fa raccontare a noi e, soprattutto, ci fa diventare la storia stessa che racconta, diventiamo storia con lui. Una storia che vive. Più a lungo di un concerto, più a lungo di una serata, più a lungo dell’andare e venire delle persone, più a lungo, addirittura, di uno stadio gigantesco!Stefano Anrico

NON L'HO SCRITTO IO, MA STEFANO ANRICO MA AVREBBE POTUTO SCRIVERLO CHIUNQUE AMA VASCO....APPROVO OGNI PAROLA....
lepre marzolina

1 commento:

Anonimo ha detto...

... Ah! stvo leggendo e mi stavo preoccupando.. a parte il fatto che avevo un'ammirazione sfrenata per il tuo modo di scrivere e stavo per chiamarti e dirti che eri sprecata a far l'impiegata e avresti dovuto scrivere un libro... ma poi hai iniziato a scrivere al maschile e a darti del "NONNO"... meno male sei meno matta di quanto sembri...
IL CAPPELLAIO MATTO
:-P