giovedì 13 dicembre 2007

PINTO SMALTO..


Era la fiaba che in assoluto mi piaceva di più da bambina (insieme a quella di Adelina)!! Nonna Eugenia era obbligata a raccontarmela perchè la mettevo letteralmente sotto tortura... L'ho ritrovata in rete e detto fatto: ecco a voi "Pinto Smalto" (o "Smalto Splendente" è uguale...)!!!


Betta, che rifiuta di prendere marito, alla fine se ne impasta uno con le sue mani ed, essendole rubato da una regina, lo ritrova dopo mille travagli e, con grande arte recuperatolo, se lo riporta a casa.

C'era una volta un mercante che aveva una figlia unica e sola, che desiderava vedere maritata, ma, per quanto suonasse questo liuto, la trovava lontana cento miglia dai desideri suoi, perché questa testa sventata come fosse una scimmia tra le femmine odiava la coda e, come zona proibita e caccia riservata, negava il passaggio a ogni uomo e voleva sempre festa al tribunale suo, sempre vacanza nelle sue scuole, sempre feste di corte nella sua banca, tanto che il padre se ne stava come l’uomo più afflitto e disperato del mondo.
Un giorno, dovendo andare a una fiera, chiese alla figlia, che si chiamava Betta, cosa desiderasse al suo ritorno, e lei disse: "Tata mio, se mi vuoi bene, portami mezzo vaso di zucchero di Palermo e mezzo vaso di mandorle ambrosine, con quattro o sei boccette d’acqua di rose e un po’ di muschio e d’ambra. E dovresti anche portarmi una quarantina di perle, due zaffiri, un po’ di granatine e di rubini, un po’ di filo d’oro e, assieme a tutte queste cose, una madia e un rasoio d'argento". Il padre si meravigliò di queste richieste stravaganti e, tuttavia, per non contraddire la figlia, andò alla fiera e tornò portandole puntualmente tutto quello che aveva chiesto. La quale, avute queste cose, si chiuse in una camera e cominciò a fare un grande impasto di mandorle e zucchero, mescolato con acqua di rose e profumo. Poi cominciò a modellare un bellissimo giovane, a cui fece i capelli di fili d’oro, gli occhi di zaffiro, i denti di perle, le labbra di rubini, e gli dette tenta grazia che gli mancava solo la parola.
Fatto ciò, avendo sentito raccontare che un’altra statua era diventata viva per le preghiere di un certo re di Cipro, tanto pregò la dea dell’amore che la statua cominciò ad aprire gli occhi e, insistendo con le preghiere, si mise a respirare e, dopo il respiro, uscirono le parole e, alla fine, sciogliendo tutte le membra, cominciò a camminare. Con una gioia maggiore di chi ha conquistato un regno, Betta l’abbracciò e lo baciò e, presolo per mano, lo portò dinanzi al padre dicendogli: "Tata, signor mio, avete sempre detto che eravate desideroso di vedermi maritata e io, per contentarvi, mi sono fatto un marito secondo il mio cuore". Il padre, che aveva visto uscire dalla camera della figlia quel bellissimo giovane, che non aveva veduto entrare, rimase a bocca aperta e, vedendo tanta bellezza, che si poteva pagare un grano a testa per poterla ammirare, fu contento che si facesse questo matrimonio.
Si preparò una festa grande e, tra gli altri che ci vennero, ci capitò anche una regina sconosciuta che, alla vista della bellezza di Pinto Smalto – così lo aveva chiamato Betta – se ne incapricciò altro che per scherzo. E poiché Pinto Smalto, che aveva aperto gli occhi sulle malizie del mondo solo da tre ore e non sapeva intorbidare l’acqua, accompagnò fino alle scale le forestiere venute a onorare le nozze, ché così gli aveva detto la sposa, e, facendo lo stesso con quella signora, essa lo prese per mano e lo portò, piano piano, fino alla carrozza a sei cavalli che teneva in cortile, dove, tiratolo dentro, fece partire la carrozza verso le sue terre; e quell’ingenuo di Pinto Smalto, non sapendo cosa gli fosse successo, le diventò marito. Betta, dopo averlo aspettato per un pezzo e non vedendolo comparire, mandò a vedere se stava chiacchierando con qualcuno giù in cortile; mandò a guardare sull’astrico se fosse andato a prendere un poco d’aria; s’affacciò in stanzini e in ripostigli e, non trovandolo, capì che gli era stato rubato, bello com’era!
E, fatti pubblicare i soliti bandi e, dopo che nessuno si era presentato a riportarglielo, decise di andarselo a cercare per tutto il mondo, travestita da pezzente. E, incamminatasi così travestita, dopo qualche mese arrivò alla casa di una buona vecchia, che l’accolse con grande affetto; e, sentita la disgrazia di Betta e accorgendosi che era incinta, ne ebbe tanta compassione che le insegnò tre formule magiche: la prima, tricche varlacche, ca la casa chiove; la seconda, anola tranola, pizze fontanola; la terza, tafar’e tammurro, pizze ’ngongole e cemmino, raccomandandole di usarle solo quando ne avesse avuto un gran bisogno, perché ne avrebbe tratto un grande beneficio. Betta, anche se si meravigliò per questo regalo di crusca, disse tra sé: ' Chi raccoglie non perde, ogni briciola è utile. Chi sa quale buona fortuna è racchiusa in queste formule? '. E così dicendo, ringraziata la vecchia, si mise in cammino.
Dopo un lungo viaggio, arrivata in una bella città chiamata Monterotondo, se ne andò dritta dritta al palazzo reale, dove chiese, per amore del cielo, un po’ di ricovero nella stalla, perché era vicina al parto. Sentendo ciò, le damigelle di corte le fecero dare una cameretta in mezzo alle scale, dove stando la poveretta vide passare Pinto Smalto, per la qual cosa ebbe tanta gioia, che fu in punto in punto di scivolare dall’albero della vita. Ma, poiché si trovava in così grande necessità, volle fare la prova con la prima formula datale dalla vecchia. E, dicendo tricche valcarre, ca la casa chiove, si vide comparire davanti un carrettino tutto d’oro, tempestato di pietre preziose, che si muoveva da solo per la stanza: che era una meraviglia a vedersi! Vista la qual cosa, le damigelle lo dissero alla regina che, senza perdere tempo, corse nella camera di Betta e, veduta questa magnifica cosa, le chiese se glielo voleva vendere, che l’avrebbe pagato quanto avrebbe chiesto. La quale rispose che, anche se pezzente, teneva più al suo piacere che a tutto l’oro del mondo e, perciò, se voleva il carrettino, avrebbe dovuto farla dormire una notte con il marito. La regina restò meravigliata della follia di questa poveretta che, sebbene pezzente, rinunciava alla ricchezza per un capriccio, e decise di papparsi quel bel boccone e, drogando Pinto Smalto, lasciare la poveretta contenta e malpagata.
E – venuta la Notte, quando le stelle del cielo e le lucciole della terra escono a farsi vedere – la regina, dato un sonnifero a Pinto Smalto , lo fece coricare accanto a Betta; il quale tanto faceva quanto gli dicevano di fare, non s’era ancora gettato sul materasso che già dormiva come un ghiro.
La povera Betta, che quella notte credeva di rifarsi di tutti gli affanni passati, accorgendosi che nessuno l’ascoltava, cominciò a lamentarsi forte, rimproverandogli tutto quello che aveva fatto per lui. E l’addolorata non chiuse mai bocca e l’addormentato non aprì mai gli occhi, finché il Sole usci con l’acquaforte a separare le ombre dalla luce, quando la Regina scese giù e si prese per mano Pinto Smalto, dicendo a Betta: "E, allora, sei contenta?". ' Che tu possa tenerti questa contentezza per tutta la tua vita ' rispose tra sé Betta, ' perché io ho passato una notte così brutta, che me ne ricorderò per qualche giorno. '
Rimasta sola, e non potendo più resistere, la poveretta volle fare la seconda prova con la seconda formula e, dicendo anola tranola, pizze fontanola, vide comparire una gabbia d’oro con un bellissimo uccello di pietre preziose e d’oro, che cantava come un usignolo. La qual cosa fu vista dalle damigelle, e riferita alla Regina, che volle vederlo; e, avendo fatto la stessa richiesta che aveva fatto per il carrettino e avendo Betta risposto lo stesso della prima volta, la regina, che aveva previsto e sperimentato l’inganno, promise di farla dormire col marito. E, presasi la gabbia con l’uccello e venuta la notte, diede il solito sonnifero a Pinto Smalto e lo mandò a dormire con Betta nella stessa camera dove aveva fatto preparare un bel letto. La quale, vedendo che dormiva come uno scannato, cominciò a fare lo stesso lamento, dicendo cose che avrebbero mosso a compassione una pietra e, piangendo e graffiandosi tutta, passò un’altra notte piena di tormenti. Appena fu giorno, la regina scese a riprendersi il marito, lasciando la povera Betta fredda e gelata, a morsicarsi le mani per lo scherzo che le era stato fatto. Ma, uscendo il mattino Pinto Smalto per andare a cogliere quattro fichi in un giardino fuori la porta della città, gli si avvicinò un robivecchi, che abitava muro a muro con la camera di Betta e che non aveva perduto una parola di quello che lei aveva detto, e che riferì punto per punto il tormento, i pianti e i lamenti della sfortunata pezzente. La quale cosa sentita il re, che già cominciava a cambiare senno, s’immaginò come potesse essere andata la cosa e pensò che, se gli capitava un’altra volta d’essere mandato dormire con la poveretta, non avrebbe bevuto quello che le faceva dare la Regina.
Ora, volendo Betta fare la terza prova e, dicendo la terza formula magica: tafaro e tammurro, pizze e ‘ngolgole e cemmine, comparvero una quantità di stoffe di seta e d’oro e di cinture ricamate con una conchiglia d’oro, che neanche la regina stessa avrebbe potuto mettere insieme così belle galanterie. Le quali cose avvistate dalle damigelle, avvisarono la padrona, che pensò di prendersele come aveva fatto con il resto e, avuta la stessa risposta da Betta, che, se le voleva, lasciasse dormire il marito con lei, la regina, dicendo tra sé: ' Che ci perdo a contentare questa contadina per portarle via queste belle cose? ' e, pigliatesi tutte queste ricchezze che le offrì Betta – quando sul tardi venne la Notte, perché doveva rispettare gli obblighi contratti con il sonno e con il riposo – dette il sonnifero a Pinto Smalto. E lui, trattenendolo in bocca e fingendo d’andare a scaricare la vescica, lo sputò in una camera e, coricatosi accanto a Betta, essa cominciò a cantare la stessa canzone, raccontando come l’aveva impastato con le sue mani con lo zucchero e con le mandorle, come gli aveva fatto i capelli d’oro e gli occhi e la bocca di perle e di pietre preziose, come lui le era debitore della vita, datagli dagli dei per le sue preghiere, e, alla fine, come le era stato rubato e essa, incinta e prossima a partorire, l’era andato cercando con tanti patimenti, che il cielo risparmi a ogni carne battezzata. E, in più, come aveva dormito altre due notti con lui, e dato in cambio due tesori, e non aveva potuto avere neanche una parola, al punto che questa era l’ultima notte di speranza e l’ultimo termine della vita. Pinto Smalto, che era sveglio, sentite queste parole e ricordando come in sogno quello che era accaduto, l’abbracciò e la consolò come meglio seppe. E – poiché la Notte era uscita con la maschera nera a guidare il ballo delle stelle – si alzò piano piano ed, entrato nella camera della regina, si riprese tutto quello che aveva rubato a Betta e tutti i gioielli e i denari che erano nello scrittoio, come risarcimento per le sofferenze patite. E, tornato dalla moglie, se ne partirono subito e tanto camminarono finché uscirono dai confini di quel regno, dove si fermarono in un buon albergo, dove Betta dette alla luce un bel maschio. E, quando si fu alzata dal letto, si avviarono verso la casa del padre, dove lo trovarono sano e vivo e, per il piacere di rivedere la figlia, divenne allegro come un ragazzo di quindici anni; e la regina, non trovando né il marito, né la pezzente, né i gioielli, si graffiò tutta e non mancò chi le disse:
"chi imbroglia, non si dolga s’è imbrogliato."


IL CAPPELLAIO MATTO

3 commenti:

Kaishe ha detto...

Erano anni che nessuno mi "raccontava" la favola della buona notte... di solito le racconto io, veramente...

Ma stasera mi sono presa il regalo di anniversario... Infatti oggi "festeggio" il giorno del Battesimo... e pure il secondo nome che per me è l'onomastico ufficiale, visto che il mio primo nome non è ancora (e sottolineo "ancora" sul calendario...

Grazie, perciò... e BUONANOTTE...

Cappellaio Matto - Lepre Marzolina ha detto...

Quand'ero bambina tediavo i nonni perchè mi raccontassero le storie e, oltre quelle canoniche, c'erano queste storielle strambe... Ma mooooooooooolto più divertenti!
Prego, buon onomastico!

IL CAPPELLAIO MATTO

Anonimo ha detto...

Queste sono le tipiche favole che ti fanno venire voglia di porre rimedio alle tue disgrazie. Altro che della buonanotte, bisognerebbe ascoltarle al mattino: hanno un effetto caffeina su di me!